OMBRE LUCI RIVISTA CRISTIANA DELLE FAMIGLIE E DEGLI AMICI DI PERSONE HANDICAPPATE E DISADATTATE Collaborare per risolvere Trimestrale anno IX - n. 1 - Gennaio - Febbraio - Marzo 1991 Spediz.: Abb. Post. Gruppo IV - 70% - Redazione Ombre e Luci - Via Bessarione 30 - 00165 Roma n. 33 In questo numero Con la vostra collaborazione - Inchiesta di Mariangela Bertolini 1 Dialogo aperto 3 Famiglie diverse? di Giacomo e Maria Labrousse 5 Educare è desiderare di Marie H. Mathieu 10 INCHIESTA tra i genitori di figli con handicap 12 La Stelletta di Nicole Schulthes 17 LIBRI 21 Quel che mancava ai nostri figli TESTIMONIANZA di Laura Delay 24 Ombre e Luci 1983-1990 - Rassegna 28 IN COPERTINA - Foto “ La Stelletta” ABBONAMENTO ANNUO L. 15.000 - SOSTENITORE L. 30.000 Conto Corrente postale n. 55090005 intestato «Associazione FEDE E LUCE» via Cola di Rienzo, 140 - 00192 Roma Riempire il modulo con la massima chiarezza, possibilmente in stampatello, cognome, nome, indirizzo e codice postale. Precisare, sul retro, che il versamento è per abbonamento a OMBRE E LUCI. Trimestrale anno IX - n. 1 - Gennaio - Febbraio - Marzo 1991 Spediz.: Abb. Post. Gruppo IV - 70 % - Redazione Ombre e Luci - Via Bessarione 30 - 00165 Roma Autorizzazione del Tribunale di Roma n. 19/83 del 24 gennaio 1983 Direttore responsabile: Sergio Sciascia Direzione e Redazione: Mariangela Bertolini, Nicole Schulthes - Natalia Livi Servizio abbonamenti: Cristina Di Girardi Redazione e Amministrazione: Via Bressarione, 30 - 00165 - Roma - Tel. 636106 - mercoledì - venerdì - sabato 9.30-12.30 Fotocomposizione: Videograf Roma Stampa: Ugo Quintily - S.p.a. - Via Di Donna Olimpia, 9 - Roma Finito di stampare nel mese di aprile 1991 Con la vostra collaborazione di Mariangela Bertolini Ombre e Luci si rivolge soprattutto ai genitori di figli con handicap, con la speranza di essere per loro aiuto e sostegno. Vuole creare legami di amicizia là dove spesso c'è solitudine ed emarginazione; ascoltare i bi¬ sogni, ridare forza e coraggio, ravvivare la speranza, anche quando sem¬ bra perduta. Per questo abbiamo preferito, da sempre, presentare artico¬ li rasserenanti, positivi, più che tragici e scandalistici, più le luci che le ombre. Di solito scegliamo argomenti che aiutino a conoscere meglio i vari ti¬ pi di handicap, con appropriati consigli educativi; riflessioni su temi ge- ner ali comuni, alla luce dell’insegnamento evangelico; informazioni su i- niziative e .servizi esistenti e tra questi segnaliamo quelli «buoni» perché siano di riferimento e rappresentino modelli da imitare nel caso che ge¬ nitori o amici vogliano «creare» qualcosa di nuovo. Dopo otto anni di vita, abbiamo bisogno di fare con voi una verifica, sottoponendovi a un piccolo impegno, il cui risultato sarà per noi pre¬ zioso per continuare il nostro lavoro nella certezza che Ombre e Luci è utile e deve continuare a vivere. Le domande che troverete alle pagine centrali di questo numero, sono state pensate per avere un'idea precisa sulle vostre situazioni familiari, sui vostri bisogni, sui vostri desideri e questo per i motivi che seguono. 1. Pubblicare articoli su argomenti che siano risposte concrete ai vo¬ stri veri e attuali bisogni. 2. Avere informazioni precise sulle necessità di servizi e aiuti (carenti o inesistenti), sui bisogni più urgenti; potremo così, dati alla mano, pre¬ sentarli là dove sempre più spesso veniamo invitati sia come Fede e Lu¬ ce, sia come Ombre e Luci. In questi ultimi anni abbiamo partecipato a nome vostro a: Commis¬ sione di studio per le case famiglie, promosso dal ministero della Sanità e degli Affari sociali; Consulta cittadina; Convegno per la catechesi dell'handicap; Convegno sulla famiglia con hancicap (Policlinico Gemel¬ li); Convegno per l’educazione del bambino autistico (Università di Ro¬ ma). Cerchiamo inoltre di portare i vostri bisogni a vescovi e autorità ci- 1 vili, particolarmente sensibili e vicine al problema della sofferenza. Le vo¬ stre risposte ci permetteranno anche di scegliere a quali convegni e in¬ contri portare la vostra voce. 3. Chiedere la vostra collaborazione per articoli a chi fra voi è prota¬ gonista di certe problematiche. La vostra risposta ci servirà anche a capire se la rivista vi sta a cuore e se desiderate continuare a riceverla. Il nostro lavoro, ne riceverà signi¬ ficato, forza e incoraggiamento. Cogliamo l’occasione per ringraziare quanti fra voi hanno dato il loro contributo in questi anni trascorsi con articoli e fotografie. Speriamo di vedere arrivare presto molte risposte! AI GENITORI DI FIGLI CON HANDICAP abbonati o lettori di OMBRE E LUCI Le vostre risposte ci sono preziose quanto e forse più dei soldi che inviate per l’abbonamento. # Per favore, rispondete subito, più tardi, forse, non lo farete! GRAZIE ! A chi ha rinnovato l'abbonamento 91: GRAZIE A chi ha dimenticato di farlo: PROVVEDI SUBITO "Ombre e Luci" vive solo con il lavoro volontario e le quote di abbonamento! Dialogo aperto Grazie ancora Ieri, tornando a casa, non credevo ai miei occhi: sul mio tavolo l’ultimo numero di Om¬ bre e Luci; che bello! Che e- mozione sfogliarlo. Subito ho sentito dentro di me il desi¬ derio di esprimere a tutti voi la gratitudine per quello che fate da tanti anni, veramente con passione, con amore e tante volte, con sacrificio (an¬ che economico!). Coraggio, ne vale la pena. Sono convinta che questo numero di Ombre e Luci, ol¬ tre ad essere un ottimo rega¬ lo per il santo Natale, può es¬ sere motivo di scambio in co¬ munità, di approfondimento; può servire a scoprire e me¬ glio ancora, a riscoprire che cosa è Fede e Luce, la sua vo¬ cazione, il suo valore ecume¬ nico. Bellissime le testimonianze, un incoraggiamento per chiunque si trovi in difficoltà, un tendere la mano per far ca¬ pire a ognuno che l’Amore vince tutti i mali del nostro tempo. Insomma, senza togliere niente agli altri numeri, que¬ sto lo custodirò molto gelosa¬ mente e sono certa che nei momenti in cui avrò bisogno di un pò di ossigeno, leggen¬ do qualche pagina del vostro giornalino, sentirò rieccheg- giare dentro di me: «Non te¬ mere, non sei più sola». Gra¬ zie ancora, un grosso Hurrà per voi tutti. Con affetto Marina Serino. Bisogno di dire grazie Quest’estate Agnese è sta¬ ta in casa di cura per un me¬ se; quindici giorni è dovuta stare a letto e ha avuto pia¬ ghe di decubito. Ringraziamo il Signore: do¬ po un mese è stata meglio ed è uscita. Adesso è sotto terapia. Dopo l’uscita di Agnese io non sono stata più bene. Mie è venuto l’esaurimento: da settembre a gennaio non mangiavo, non dormivo, ero dimagrita moltissimo e mi e- ro anche allontanata dalla Chiesa. Ringrazio la mia co¬ gnata Vanda che mi è stata vicina con amore e ha telefo¬ nato a Mariangela che si è in¬ teressata subito per mandar¬ mi a Villa Giuseppina dove so¬ no stata un mese. Uscita in forma perfetta, un grazie di cuore per Cecilia e Stefano, i miei figli che hanno avuto con Agnese tanta pazienza e tan¬ to amore. Cecilia è stata a ca¬ sa mia un mese con il suo bambino e così stavo tranquil¬ la. E’ arrivato il giorno dell’u¬ scita e posso dire di essere guarita, veramente rinata. Ringraziando con tanto amo¬ re il Signore, Cecilia, Vanda e Mariangela. Sono sicura che Ettore dal cielo ha pregato per tutte le persone che mi sono state vicine. Angela Con affetto (dal retro di un conto cor¬ rente postale per la causale del versamento). Buon Natale e felice anno nuovo auguro con tutto il cuo¬ re agli operatori instancabili di Fede e Luce e ai carissimi loro assistiti con tanta umani¬ tà. Un bacio con affetto Ann in a Paradiso. Un grido del cuore Sono la maggiore. Mia so¬ rella più piccola è handicap¬ pata. Avevo sette anni quan¬ do ho percepito la sofferenza dei miei genitori, probabilmen¬ te troppo poco manifestata a parole. Entravamo allora nel 3 mondo della consapevolezza. Trovo che la vostra rivista è un pò troppo ottimista. La sof¬ ferenza dei fratelli e sorelle e- siste. E’ profonda. A volte pen¬ so che anche a me l’amore è mancato. Ho l’impressione che i miei genitori, troppo preoc¬ cupati dalle cure per mia so¬ rella, non sono stati sempre disponibili. Ho voglia di dire a tutti i genitori: «Amate il vo¬ stro figlio handicappato, ma non di più degli altri vostri fi¬ gli. Questi sentono la vostra angoscia e le vostre sofferen¬ ze. Anche loro hanno bisogno di essere amati. Non sono là per compensare le mancanze che deplorate in chi vi sembra più fragile. Fragili sono anche gli altri, anche se si vede di meno». Scusatemi di dire que¬ ste cose, ma è veramente un grido del cuore. D. V. Quelli che ti vogliono bene Il 25 settembre, per la pri¬ ma volta, ho perso una perso¬ na cara e per questo sto sof¬ frendo molto. Pur avendo 18 anni, non ho mai visto la morte come un e- lemento naturale che fa par¬ te del ciclo della vita. Da quando sono nata ho sempre visto persone nasce¬ re, ho visto sempre i miei pa¬ renti felici, non avevo motivo di preoccuparmi che prima o poi qualcuno avrebbe dovuto lasciarci. Purtroppo il momento è ar¬ rivato e per me è stato un col¬ po molto basso che non ho ac¬ cettato. Per un breve periodo ho pre¬ ferito trascorrere questo mo¬ mento da sola, in quanto vole¬ vo capire cosa era successo e soprattutto il perché di tutto ciò. Il 20 ottobre è stato il mio 18° compleanno, uno dei gior¬ ni più importanti della vita. A- vevo cominciato la giornata con un pensiero fisso: «Oggi è il giorno in cui io divento maggiorenne ma è anche il primo compleanno in cui man¬ ca una persona che amo». Poi alla sera, grazie agli a- mici di FL che avevo invitato, sono riuscita ad evadere per poche ore dal pensiero che mi assaliva dal mattino. Da que¬ sto ho capito che le persone che ti vogliono bene, con le loro parole dette con il cuore, non solo ti danno forza, ma ti fanno capire e, a volte, accet¬ tare, le difficoltà, piano piano. Ora deve solo passare il tempo, quel tempo che rimar¬ gina le ferite. Alessandra (S. Anna Roma). L'arcivescovo di Milano, a Fede e Luce o^{ ✓«-— Vostro aff.mo nel Signore Carlo Maria Card. Martini Carissimi genitori di Fede e Luce, neU'avvicinarsi del santo Natale vi invio un breve pensiero che vi dica la mia gratitudine e il mio af¬ fetto. Ricordo ancora con gioia rincontro con molti di voi ad Assisi, nel 1986; ma già da prima vi conosce¬ vo attraverso il cammino delle comunità. Nel campo dell'accoglienza la situazione generale è certamente migliorata e tuttavia presenta a tutt'og¬ gi serie difficoltà. A questo si aggiunge la situazio¬ ne personale di ogni famiglia, assillata da tanti pe¬ si, da incalzanti problemi di vita quotidiana, da an¬ gosciosi interrogativi esistenziali e da gravi preoccu¬ pazioni per il futuro. E penso che il mistero del Natale, che pure richia¬ ma alla dignità di ogni persona, se da una parte e- salta la gioia e la bellezza della famiglia «normale», dall'altra può acuire il dolore delle famiglie «diver¬ se». Ecco perché ho sentito il bisogno di scrivervi, nel desiderio di entrare nelle famiglie di Fede e Luce, perché, nonostante la fatica del quotidiano, riuscite a farvi portatori di significativi gesti di amore e di speranza che, superando le mura di una casa, diven¬ tano motivo di conversione per la società intera. Di tale testimonianza vi rendo atto esprimendovi la mia più viva riconoscenza e, incoraggiandovi nel cammino, vi invito ad avere sempre più cura di quel «tesoro» in vasi di creta che è Fede e Luce. Con affetto vi auguro buon Natale! 4 « F amiglie diverse? di Giacomo e Maria Labrousse G. e M. Labrousse, genitori di tre figli, tra cui Paolo, portatore di handicap, ri¬ percorrono un pò della loro storia uma¬ na, simile a quella di tante famiglie, an¬ che se unica. I genitori che hanno cono¬ sciuto la stessa prova, si ritroveranno in queste riflessioni e nel loro atteggiamen¬ to. Il momento nel quale l'handicap di nostro figlio ci viene annunciato, pri¬ ma o dopo la nascita, — handicap di ogni tipo e di ogni gravità — è il mo¬ mento della prova brutale alla qua¬ le nessuna di noi è preparato. Tutto sembra fermarsi. Ogni pro¬ getto di vita sognato e sperato a due, al momento del matrimonio, ogni speranza ambiziosa che tutti i geni¬ tori ripongono sul bambino che na¬ sce e che cresce, tutto sembra pre¬ cipitare di colpo. Un colpo tremendo E’ il momento della negazione: «Non a me! Non a lui!», è il momen¬ to dell'aggressività che riversiamo in¬ distintamente su tutti: su di noi, sui medici, sui parenti e i vicini, su Dio stesso. «Come può permettere la sof¬ ferenza dell’innocente, di questo in¬ nocente che è un altro me stesso?». Per alcuni fra noi questa storia par¬ ticolare comincia, a volte, prima del¬ la nascita: è il caso di un rischio do¬ vuto all’ereditarietà o a una malat¬ tia prenatale (come la rosolia) o quando gli esami prenatali — sem¬ pre più sofisticati — rivelano o la¬ sciano prevedere una anomalia. Questo periodo è reso ancor più difficile da quando l’interruzione di gravidanza viene talvolta presenta¬ ta ai genitori come una soluzione «tecnica», in modo quasi automati¬ co, dopo una diagnosi prenatale a grave rischio. Tutto il vocabolario utilizzato da medici e giuristi è stato rimodellato per far pressione sui genitori: si par¬ la di prevenzione dell’handicap, quando invece si tratta di eliminare un essere umano handicappato. Si arriva, perfino, a colpevolizzare quei giovani genitori che non cedono a quella che si presenta come una li¬ berazione. 5 Ora è una realtà E’ qui, ora il nostro bambino, così piccolo, così indifeso, così povero. Non sappiamo se ce la farà. Corriamo da specialisti, da chirurghi, per fare infi¬ niti esami, interventi, medicinali... Lo riprendono all’ospedale, per tre settimane, per tre mesi. Pensiamo che soffra, ma lo possia¬ mo vedere solo attraverso un vetro; non possiamo prenderlo fra le brac¬ cia, non possiamo stringerlo al cuore. Quando ritorna a casa, i doveri quotidiani ci assorbono totalmente, ci lasciano estenuati. Quante ore per farlo mangiare! Si stanca subito. Co¬ me comunicare con lui? Sembra non reagire alle nostre parole, ai nostri gesti affettuosi. Non sappiamo come andare avan¬ ti. Possiamo davvero sperare in un progresso, visto che i giorni passano e che la differenza con i bambini del¬ la sua età si fa sempre più grande? Ogni settimana, ogni mese aumen¬ tano l’impressione e la presa di co¬ scienza della sua «diversità». I nostri innumerevoli sforzi hanno un senso, una speranza di portare qualche risultato? Possiamo vivere solo nel presente dal momento che il ritmo naturale di genitori il cui figlio cresce, si risve¬ glia, impara a camminare, a parlare, si è infranto. Gli altri vanno a scuola Fra i quattro-sei anni, comincia un’altra tappa; accanto a noi, pren¬ dono sempre più importanza gli e- ducatori, psicologi, terapisti... II loro intervento fino ad ora era stato soprattutto di guida, di consi¬ glio, di aiuto in vista di sostenerci nel compito di genitori. Ora devono sempre di più interve¬ nire su nostro figlio. Dobbiamo divi¬ derci i ruoli, tessere con loro pian pianino legami di intesa; farli diven¬ tare nostri compagni di vita. Sarà spesso cosa difficile; nostro figlio è ancora così dipendente da noi; abbiamo l’impressione di venir spodestati. Altri, forse, saranno ten¬ tati di rimettersi completamente a loro, perché loro «sanno»; inconscia¬ mente si sentiranno sollevati. Stabilire una sana relazione con lo¬ ro, attiva da parte dei genitori, sen¬ za inutile aggressività, dipenderà molto dall’atteggiamento che avran¬ no i terapisti. Se sanno informare con correttezza e sincerità, potranno chiedere a noi genitori di armonizza¬ re, per il bene del bambino, il nostro atteggiamento con quello loro; uti¬ lizzare le stesse tecniche di comuni¬ cazione, evitare questo o quel com¬ portamento o attività che può nuo¬ cere alla salute fisica o mentale del bambino e ritardare il suo sviluppo. Possono soprattutto insegnarci progressivamente a non essere os¬ sessionati dall’handicap, dalle dipen¬ denze; a essere all’ascolto di tutte le sue capacità, di tutte le ricchezze della sua personalità, quelle ricchez¬ ze per noi così difficili da scoprire. Una vita turbata Anche se nostro figlio trova posto in un centro o in una scuola, la vita famigliare è segnata dalle difficoltà dovute al suo handicap: trasporti per portarlo a scuola, alle terapie; sera¬ te o week-ends e vacanze da orga¬ nizzare in funzione di quanto per lui è bene o possibile. Per ogni mamma di famiglia, il tem¬ po libero è spesso carico di incom¬ benze; quando un figlio è handicap¬ pato, per le cure, per seguirlo nei com¬ piti, se va a una scuola normale? Quanti genitori hanno visto fuggire parenti e amici che sembravano più vicini e dai quali si aspettavano un sostegno? 6 Foto Sergio Sciascia 7 E per tutti, fratelli e sorelle com¬ presi, questo o quel tipo di diverti¬ mento, di passeggiata, saranno pos¬ sibili se il figlio ha un handicap mo¬ torio? Si potranno invitare gli amici a casa se lui ha uno strano compor¬ tamento, se a volte è aggressivo o instabile? Molto dipenderà dall’ambiente che 10 circonda: dalla famiglia, dai paren¬ ti, dalla possibilità che sia accolto per un pomeriggio dai nonni, zii e zie, da amici. Quanti genitori hanno visto fuggi¬ re, al momento dell’annuncio dell’handicap, quelli fra parenti e a- mici che sembravano loro più vicini, quelli dai quali si aspettavano un so¬ stegno materiale e affettivo? Alcune famiglie, in questi casi, si sono ripiegate allora nella prova, chiudendo il figlio handicappato e chiudendosi loro stesse in una sorta 11 ghetto. Troppe persone dell’ambiente fa¬ miliare hanno spesso un atteggia¬ mento troppo prudente, troppo riser¬ vato, pensando di essere inopportu¬ ne, quando proprio un gesto, anche minimo, l’accoglienza in casa per qualche ora, permetterebbe di spez¬ zare quel muro. Troppi vicini, troppi passanti, fan¬ no pesare sul bambino con handicap e sui suoi genitori, uno sguardo di incomprensione, a volte, di rimpro¬ vero, che viene così fortemente ri¬ sentito come un segno di rifugio. Una vita spirituale cambiata La prova che colpisce i genitori, ma anche i fratelli e le sorelle, pro¬ voca in tutti uno choc che rimbalza sul loro sistema di valori e modifica il loro rapporto profondo con Dio e con gli altri. Ciò che prima sembra¬ va importante, appare ora molto se¬ condario nei confronti delle doman¬ de essenziali: «Perché questa soffe¬ renza? Che senso ha? Perché Dio permette questo scandalo?». Gridiamo verso di Lui e Lui non ri¬ sponde. Ogni giorno porta con sé nuove difficoltà; quelle dell’adole¬ scenza, quelle dell’età adulta. E l'in¬ quietudine più grande, vissuta come un’angoscia: «Che cosa sarà di lui quando noi non ci saremo più?» «Co¬ me sopporterà questa separazione e questa sofferenza?». Alcuni rimangono alla stadio della rivolta, altri si avviano a una triste rassegnazione. Eppure, conosciamo tanti genitori che lottano e che, progressivamen¬ te, assumono la situazione; con l'aiu¬ to della Fede passano da un atteg¬ giamento di depressione alla vera ac¬ coglienza. Quanti fratelli e sorelle di persone con handicap, vediamo, la cui maturità, formatasi nella prova, è superiore a quella dei giovani del¬ la loro età. Queste famiglie, queste persone, che in un primo tempo si sono pie¬ gate sotto lo choc, ricostruiscono un nuovo equilibrio, certo sempre fragi¬ le, ma fatto di coraggio e di lucidità. La nostra vita spirituale sarà pas¬ sata attraverso il fuoco della soffe¬ renza. Avrà perduto, senza dubbio, ogni forma di angelismo, perché la fede, è anch’essa molto fragile. Una ricaduta, un aggravamento, possono sempre farci ricadere nell’angoscia e anche nella rivolta. Ma nostro figlio ci avrà insegnato che le vere quali¬ tà dell’uomo non sono nella bellez¬ za e neH’intelligenza. Incontriamo tante persone con handicap che san¬ no illuminare con la loro presenza chi sta loro accanto. Per quanto colpite e provate nel loro corpose nello spi¬ rito, sappiamo che ognuna di loro, così come nostro figlio, è insostitui¬ bile. (O. et L. n. 92). I nostri sforzi hanno un senso, una speranza di portare risultati 8 Foto Riccardo Guglielmin 9 Educare A e desiderare di Marie Hélène Mathieu «Non siamo fatti per essere genito¬ ri di un figlio handicappato». Ho sentito questa frase due volte, questa settimana. La prima volta era pronunciata da un papà. Disperato, a- veva appena saputo che la sua bam¬ bina di due giorni aveva una lesione al cervello. La seconda volta, da una coppia. Il loro figlio, Guglielmo, di ot¬ to anni, presenta turbe del comporta¬ mento che sconvolgono completamen¬ te l'atmosfera familiare. Travolti dalla situazione, schiacciati dalla scienza de¬ gli psicologi del centro dov'è accolto il bambino, erano senza speranza. Non si impara a soffrire Oso appena dirlo. Si impara quasi tutto...ma non si impara a soffrire. In più, non si impara nemmeno ad edu¬ care i propri figli. Allora, quando il fi¬ glio è handicappato, bisogna, di soli¬ to, «improvvisare» le due cose allo stesso tempo. Bisogna imparare a e- ducare, a far crescere, e questo senza cessare di soffrire. Eppure, c'è chi ci è arrivato. Sono quelli che ci danno testimonianza, u- na testimonianza incontestabile. Ci fanno luce come dei fari. Alla loro lu¬ ce, una debole fiamma di speranza può nascere nel cuore di coloro ai quali è richiesto così tanto. Se il nostro cuore ci condanna Ai genitori di Guglielmo, sconvolti dai propri sentimenti di rifiuto e di vio¬ lenza nei confronti del loro bambino, vorrei confidare quanto questa loro reazione sia normale. Quando si è trop¬ po colpevolizzati dai propri blocchi, dalla durezza del proprio cuore, c'è li¬ na frase di S. Giovanni che può darci la pace: «Se il nostro cuore ci condan¬ na, Dio è più grande del nostro cuore e conosce tutto» (Giov. 3,20). Inoltre, la scoperta umile della no¬ stra «cattiveria» interiore è spesso il primo passo per farci avvicinare a un pò di luce. Il riconoscimento della no¬ stra debolezza può portarci a rivolger¬ ci a Colui che può guarire .• Osando affidarci ciò che gli è più caro al mondo, il suo bambino nel qua¬ le trova la sua gioia, Dio non ci ab¬ bandona. La sofferenza la conosce. Ha accettato di conoscerla sulla Croce. Educhiamo per quel che siamo Non ci chiede se abbiamo diplomi in pedagogia o in psicologia. Che co¬ sa ci chiede? Lo sappiamo tutti: edu¬ chiamo un pò per quello che diciamo, molto per quello che facciamo, ma es¬ senzialmente per quello che siamo. 10 Quando ho detto queste cose ai ge¬ nitori di Guglielmo, sono crollati. E ' proprio qui il loro problema: si sento¬ no così «dappoco». Importa non ciò che sentiamo, ma quello che deside¬ riamo. Siamo già un pò quello che de¬ sideriamo. Desiderare di amare, è già amare. «Solo rinfinito desiderio è on¬ nipotente», diceva S. Caterina da Sie¬ na. Il bambino sente quel che siamo E se i nostri cuori non osano più desiderare, il Signore si accontenta del nostro desiderio di desiderare. Il suo amore è lì, con fiumi di acqua viva, appena un cuore contrito e assetato si apre alla sua misericordia. Non mascherando i nostri errori po¬ tremo aiutare un bambino a crescere. Il bambino sente quello che siamo in realtà attraverso tutto ciò che ci sfug¬ ge e ci tradisce. Egli si modella, non su ciò che appariamo nè su ciò che crediamo di essere, ma su quello che desideriamo. Essere veri con lui Per questo è così importante esse¬ re veri con lui, chiedergli semplicemen¬ te perdono dei nostri errori e diventa¬ re così compagni di strada, con ogni sorta di sfumature, secondo le tappe di crescita. Inoltre, per aiutare il no¬ stro bambino a crescere, ci vuole una grazia di comunione con lui, con le sue sofferenze, le sue ferite, le sue mancanze, le sue ricchezze nascoste, soprattutto. Nel seno della mamma, il piccolo cresce attraverso la comunio¬ ne che diventa sempre più cosciente, che si protrae, in altro modo, dopo la nascita. Accettare noi stessi Educare un figlio, è accettare noi stessi, riconoscerci per quello che sia¬ mo ma col desiderio di diventare co¬ me Dio ci vorrebbe, e ci farà diventa¬ re se ci troverà umili e fiduciosi! Educare è prendere il bambino co¬ sì com'è. Di più, è accoglierlo, ascol¬ tarlo, aiutarlo a crescere non secondo il nostro volere, ma con il desiderio di condurlo là dove Dio lo attende. Educare e desiderare O. et L. n. 92 Aiutiamoci i (V ^ ; t rispondendo 12 Stacca questo foglio centrale, mettilo in busta e spediscilo a: Ombre e luci — Via Bessarione 30 - 00165 Roma Inchiesta tra i genitori di figli con handicap Traccia una croce (x) nei quadrati corrispondenti alla rispo¬ sta giusta 1) La nostra famiglia è compo sta da: - a) Padre si □ no 3 b) Madre si □ no □ Età. anni Età. anni Lavoro del padre: Lavoro della madre: Commerciante □ Casalinga □ Artigiano □ Impiegata □ Operaio □ Commerciante □ Professionista □ Insegnante □ Insegnante 3 Pensionata □ Medico □ Operaia □ Impiegato □ Artigiana □ Pensionato □ Medico □ Altro. Professionista □ Altro. c) Figlio/a portatore di handi¬ cap motorio □ ritardo mentale □ cecità □ sordità □ turbe psichiche □ plurihandicap □ autismo □ epilessia 3 Di che gravità è l’handicap segna to lieve □ medioO grave □ gravissimo □ Nome. Sesso F □ M □ Età. anni. Vive in casa □ vive in istituto □ quale?. Frequenta una scuola normaleG quale classe?. orario. Frequenta una scuola speciale □ quale?. orario. Frequenta un centro diurno quale?. orario. Svolge un lavoro protetto quale?. orario. Svolge un lavoro integrato quale?. orario. Non frequenta nulla □ □ □ 3 f) Altri figli che vivono in famiglia Figlio/a □ di anni. Figlio/a □ di anni. Figlio/a □ di anni. d) Nel tempo libero, fa attività: Sport □ quale?. dove. Associazione □ quale?. Parrocchia □ in quale grup¬ po. Ha amici che lo vengono a trova¬ re □ Esce con loro □ Ha assistenza domiciliare H quanti giorni la settimana?. con quale orario?. e) Durante l’estate va in vacan¬ za con i genitori □ con il Comune □ con il centro che frequenta □ con amici □ con parenti □ con Fede e Luce □ altro □ g) Altri figli sposati e non, che vivono fuori casa Figlio/a □ di anni. Figlio/a □ di anni. 2) Nella vostra vita di genitori, siete stati aiutati da: da altri genitori come voi □ dai parenti □ dagli altri vostri figli □ dai vicini di casa □ dagli amici □ dai medici □ dai terapisti □ dagli psicologi □ dal Parroco o altro sacerdote □ da un’Associazione □ quale?. da un consultorio familiare □ quale?. dallo Stato per mezzo di: pensione invalidità □ assegno d’accompagno □ assegno casa popolare □ 3) Che cosa vi è mancato di più sostegno morale, affettivo □ sostegno materiale, servizi □ consigli educativi □ consigli medici □ amici di famiglia □ amici per vostro figlio 3 persone che si prendessero cura di vostro figlio 3 aiuto finanziario 3 altro. □ 4) Rapporto con la Chiesa (per chi vuole rispondere) Tuo/a figlio/a con handicap fre¬ quenta: la messa nella parrocchia del tuo quartiere? si □ no 3 Frequentate insieme un’altra par¬ rocchia? si □ no 1 Quali sacramenti ha ricevuto? Battesimo □ Eucarestia □ Cresima □ Riconciliazione □ Ha seguito una preparazione con i ragazzi «normali»? si □ no □ È stato preparato a parte? si □ no □ Se sì, da chi?. Hai parlato di lui/lei con il tuo Parroco? si □ no □ Che accoglienza avete ricevuto da lui? ottima ”1 buona □ discreta □ cat¬ tiva □ 5) Il futuro di vostro figlio (il «dopo di noi») Come vivete questo problema: □ — con angoscia □ — qualcuno provvederà □ — c’è ancora tempo □ — cerchiamo di risparmiare per lasciargli un po’ di soldi □ — gli lasceremo il nostro appartamento e «qualcuno» verrà a vivere con lui/lei □ — ne parliamo con altri geni¬ tori cercando di preparare qualcosa □ — abbiamo fatto la domanda perché sia accolto in un isti¬ tuto. Quale?. □ — siamo già d’accordo: vivrà con un fratello o una sorel¬ la □ — speriamo ci pensi l’associazione. della quale siamo membri □ — vorremmo per lui/lei una Casa-famiglia □ — abbiamo visitato una casa famiglia e preso contatto con chi la gestisce 6 ) Ombre e Luci vuole aiutare le famiglie di persone h.m. Da quanti anni ricevete Ombre e Luci 1 anno □ 2 anni □ più anni □ Ne leggete gli articoli sempre □ talvolta □ mai □ Qualche articolo in particolare ti ha fatto bene? si □ no □ Qualche articolo ti è stato utile? si □ no □ Hai mai regalato un abbonamen¬ to ad un’altra famiglia con figlio con handicap? si □ no □ Hai fatto conoscere la rivista a qualche conoscente? si □ no □ Ricevi e leggi altre riviste che si rivolgono a famiglie di figli con handicap? si □ no □ Se si, quali?. 7) Hai un altro figlio con handicap? si □ no □ UTILE PER NOI MA NON OBBLIGATORIO: Cognome. Nome. Indirizzo. Tel. Fai parte di una comunità Fede e Luce? si □ no □ Osservazioni particolari, o idee che vorresti far conoscere Siamo in pieno centro della vecchia Roma: ecco un negozietto accanto a tanti altri. Ha la vetrina piena di fiori e di cerami¬ che dipinte con allegria e ingenuità. Vicino, un picco¬ lo portico rotondo. Su una targa c’è scritto: LABORA¬ TORIO CERAMICA. Suo¬ niamo il campanello. La porta si apre e saliamo per tre piani una vecchia sca¬ la. La Signora Fiumi ci ac¬ coglie calorosamente sulla porta. Eravamo attese e siamo ricevute come ami¬ che. L’ingresso è pieno di scaffalature cariche di ce¬ ramiche di vario tipo: al¬ cune sono in cotto, altre bianche, altre dipinte. Mentre ci inoltriamo nell’appartamento intrave¬ diamo un ambiente dove è istallato un forno per la ce¬ ramica. Eccoci ora in una delle due stanze adibite a laboratorio. Marco e Ales¬ sandra lavorano intorno a una grande tavola: sono calmi e impegnati ma non manca il suono di un leg¬ gero chiacchiericcio. Altre persone girano qua e là. Tra le due finestre c’è un pianoforte aperto, bellissi¬ me fotografie sono attacca¬ te ai muri, qua e là sono sparsi disegni e vasi pieni di colore per la pittura. Un laboratorio come tanti al¬ tri. La direttrice ci riceve, ci presenta e ci spiega. «Ci troviamo nel laboratorio di ceramica «La Stelletta» il cui nome deriva dalla stra¬ da in cui è situato. Il pro¬ getto è del 1981. Un nostro appartamento si era appe- 17 na reso libero. Se Sergio fosse stato in grado di stu¬ diare e di essere indipen¬ dente noi l’avremmo evi¬ dentemente messo a sua disposizione. Era giusto perciò utilizzarlo per lui». Chi parla è la mamma di Sergio. Ella riunì prima di tutto tre giovani che ave¬ vano su per giù l’età di suo figlio, poi assunse un’inse¬ gnante di una cooperativa integrata, la COSPEXA. Tutti si misero al lavoro. La COSPEXA era specializza¬ ta in ceramica: avrebbero lavorato la ceramica. «Que¬ sta attività aveva anche il pregio di essere tra le più adatte per i nostri ragaz¬ zi». Nel 1985 fu creata la «Coopertativa di Produzio¬ ne e Lavoro» con nove gio¬ vani handicappati e un’in¬ segnante (erano tre, ma la¬ voravano a turno). Nel 1986 la cooperativa orga¬ nizzò un corso professiona¬ le finanziato dalla CEE. Tutti i giovani handicappa¬ ti presero il diploma accor¬ dato dalla Regione ed en¬ trarono a far parte della cooperativa come diploma¬ ti in ceramica e non come handicappati. Nel 1988 si aprì il nego¬ zio al pianterreno e si in¬ cominciò la vendita degli oggetti prodotti dal labora¬ torio. Questa attività ora è curata la mattina da un’im- piegata e il pomeriggio a turno dai genitori dei ra¬ gazzi. Dall’inizio di quest’anno sono stati organizzati cor¬ si di pittura su porcellana nel negozio stesso dove i giovani della cooperativa vengono ogni tanto ad aiu¬ tare. Oggi i giovani adulti handicappati mentali che vengono ogni giorno al la¬ boratorio sono tredici. Al¬ cuni di loro vengono ac¬ compagnati dai genitori, li¬ na mamma, per esempio, offre un passaggio ai tre che abitano nel suo quar¬ tiere. La maggior parte pe¬ rò viene da sola. L'attività principale del laboratorio è la pittura su ceramica. Per diversifica¬ re però il lavoro e per ri¬ spondere ai gusti di alcuni giovani, tre volte alla setti¬ mana quattro di loro fre¬ quentano un vivaio , «Il gra¬ nellino di senape», organiz¬ zato da un’altra cooperati¬ va sociale. Il lavoro, a par- Quattro immagini nella giornata alla «Stelletta». A sinistra, in alto: maestra e Sergio suona per un momento di distensione; in basso: calorosa «congratulazione» della maestra con uno dei ceramisti. allievo al lavoro; in basso: si dà forma alla creta. A destra, in alto: 18 te quello di un operatore inviato dalla USL, si svol¬ ge sotto la guida del per¬ sonale del laboratorio e di un perito agrario, lui stes¬ so handicappato fisico. Altre attività alternati¬ ve sono quelle scolasti¬ che, la musica e lo yoga. Una psicoioga viene una volta la settimana per i colloqui e per l’attività di gruppo. L’orario del laboratorio va dalle 8,45 alle 13. Si la¬ vora anche il martedì po¬ meriggio dopo avere pranzato insieme e dopo avere girato e fatto spe¬ se nel quartiere. Il mer¬ coledì ognuno porta uno spuntino e si lavora fino alle 16. La psicoioga riceve nel suo studio, una volta il mese, a turno le famiglie dei ragazzi. La Signora Fiumi insiste sui vantag¬ gi della sua collaborazio¬ ne e ci dice quanto que¬ sta sia preziosa per favo¬ rire il contatto fra i mem¬ bri della cooperativa e per risolvere determinati pro¬ blemi. Una volta il mese c’è una riunione fra tut¬ ti i membri della coopera¬ tiva, i giovani handicap- pati, genitori e insegnan¬ ti. Tutti insieme discuto¬ no i vari problemi, le ini¬ ziative e i progetti. La fondatrice è presidente della cooperativa. I re¬ sponsabili delle varie at¬ tività si riuniscono setti¬ manalmente per parlare dei giovani e delle loro difficoltà, dei loro pro¬ gressi e dei loro desideri. Il lavoro amministrativo è svolto dal padre di uno dei ragazzi che è commer¬ cialista. La Signora Fiumi fa fronte a tutti i proble¬ mi quotidiani. C’è poi, in laboratorio, la presenza giornaliera di due o tre 19 volontarie che lavorano come gli altri, aiutano do¬ ve è necessario e parte¬ cipano con la loro amici¬ zia. Parliamo ora della si¬ tuazione finanziaria di questo laboratorio. Le spese sono numerose, so¬ prattutto quelle che ri¬ guardano gli stipendi dei vari collaboratori. Gli in¬ troiti sono però minimi e gli unici che arrivano re¬ golarmente sono rappre¬ sentati dalla partecipazio¬ ne dei genitori: L. 100.000 al mese. Ma vi sono an¬ che entrate occasionali: — la fondazione Bella- rini offre una somma an¬ nuale. — la Regione collabora sulle basi di precisi pro¬ getti e secondo i finanzia¬ menti dei quali disporre anno per anno. — la Provincia accorda alcune somme per inizia¬ tive specifiche e rimbor¬ sa le fatture per il 50%. — la vendita al nego¬ zio procura un pò di de¬ naro che serve essenzial¬ mente allo stipendio del¬ le persone che vendono. La situazione finanzia¬ ria è perciò sempre fragi¬ le, ma grazie all’entusia¬ smo e alla partecipazione dei membri della coope¬ rativa e grazie ai grossi sforzi della fondatrice che afferma «Non bisogna smettere di battersi», LA STELLETTA continua a vivere e a far vivere. Tut¬ ti insieme hanno tanti progetti, bellissimo pro¬ getti; fra gli altri, quello di andare a fare un sog¬ giorno di una settimana in campagna per il piace¬ re di stare insieme e co¬ me prova di vita comuni¬ taria. di Nicole Schulthes 20 *4 tj I Giovanna Astaldi Maria Carmela Barbiere L’omino di vetro fckk'k Un viaggio nel mondo degli handicap ILijMoGrtmjFJàw, Giovanna Astaldi - Maria Carmela Barbiero L'OMINO DI VETRO Un viaggio nel mondo dell'handicap Raffaele Cortina Editore L’omino di vetro è il per¬ sonaggio di una delle fiabe scritte da Pasqualino, un ra¬ gazzo di dieci anni handicap¬ pato motorio che frequenta la quinta elementare. Pa¬ squalino scrive con una spe¬ ciale macchina elettrica do¬ tata di una tastiera grande e largamente spaziata. In questo modo egli riesce a su¬ perare la difficoltà di coordi¬ nare i movimenti e a evitare l’uso dei muscoli contratti. Nella fiaba egli descrive un personaggio fragile, insi¬ curo e così trasparente da non potere difendere i suoi segreti e la sua intimità; è la caricatura di un uomo che per la sua diversità a volte fa ridere a volte incute spa¬ vento come un fantasma. L’allegoria ci permette la comprensione di tanti ragaz¬ zi come Pasqualino le cui dif¬ ficoltà sono intuibili da chi sta loro vicino, e che spes¬ so non si comportano in mo¬ do appropriato. Le due autrici, psicologhe dell’età evolutiva, intendono aiutare il lettore in tal senso. Giovanna Astaldi ha svolto per molti anni il suo impegno operativo e di ricerca nell’am¬ bito della scolarizzazione dei bambini cerebrolesi e Maria Carmela Barbiero, professore ordinario all’Università di Na¬ poli, ha lavorato a lungo nel campo della neuropsichiatria infantile. Se, come esse affer¬ mano, le parole «chiave» per entrare nel mondo dell’han- dicap sono la fiducia, la com¬ prensione e la tolleranza at¬ traverso questo libro esse ne propongono un’altra ancora, la conoscenza. «L’omino di vetro» dovreb¬ be essere letto da tutti i gio¬ vani e dai ragazzi a partire dalla terza media. Dovrebbe entrare nei programmi di stu¬ dio. Con linguaggio semplice e chiaro e con preciso rigore scientifico le autrici presen¬ tano al lettore i vari tipi di handicap e le loro cause ge¬ netiche, prenatali, perinatali e dell’età infantile. Ne risulta evidente che al di là degli svantaggi di cui soffre, il portatore di handi¬ cap «è un essere umano e non è un’anomalia del codi- - 3 ^ Aiutaci a raggiungere altre persone; Mandaci nomi, cognomi e indirizzi (scritti chiaramente) di persone che possono essere interessate a questa rivista. Invieremo loro una copia saggio. Per comunicarci i nomi puoi usare il modulo stampato sotto. Il nostro indirizzo è: Ombre e luci - Via Bessarione, 30 - 00165 Roma Nome e Cognome Indirizzo Città o Paese C.A.P. Nome e Cognome Indirizzo Nome e Cognome Città o Paese C.A.P. C.A.P. 21 Indirizzo Città o Paese ce genetico o una lesione ce¬ rebrale, o qualche danno or¬ ganico». Ciò che importa è che gli venga data la possibilità di far valere le sue capacità, nono¬ stante il suo svantaggio. Proprio come avviene per Pasqualino, l’ideatore dell’o¬ mino di vetro. Natalia Livi Claudio Imprudente VITA! Riflessioni sulla cultura delThandicap Thema Editore Alla luce delle sue esperien¬ ze personali Claudio Impru¬ dente, affetto da tetraparesi spastica, pone lo sguardo sul mondo e sul vissuto dei porta¬ tori di handicap con lucidità e concretezza. Egli si domanda «che cos’è la normalità?», chi la stabilisce?» e si chiede se il modo di confrontarsi con l’al¬ tro nella nostra società non sia errato come errati sono i valo¬ ri proposti. Al di là di un han¬ dicap, di un limite, di un osta¬ colo dovuto ad una malattia or¬ mai superata, non c’è forse l’uomo, la donna, il bambino, con capacità specifiche e una personalità propria che vive ed ama come tutti? «Questo è il punto, egli dice, l’uomo ha co¬ struito una società che lo al¬ lontana dal mistero, alla bel¬ lezza ma anche dalla paura di questo mistero, e non riesce a vedere dentro se stesso». Non riuscire a vedere dentro noi stessi non è un impedimento che ci preclude la possibilità di vedere «dentro» gli altri? E’ attraverso di loro, attraverso l’accettazione di persone diver¬ se, forse a volte difficili a ca¬ pire, ma sempre presenti e pronte al confronto, ad aiuta¬ re ed essere aiutate, che si ma¬ nifesta la «Vita». Claudio Im¬ prudente non si ferma qui; è carico di una forza carismati¬ ca tutta sua e sente una voca¬ zione alla testimonianza che lo trascina in mezzo alla gente, fra i giovani, fra i ragazzi. Egli è convinto che la conoscenza delle persone, dei loro proble¬ mi, delle loro gioie, porta alla comprensione, alla serenità, all’amicizia. Non è questo l’a¬ more che ci chiede Gesù? Que¬ sto ideale viene perciò da lui continuamente sperimentato Nome e Cognome Indirizzo Città o Paese CA.P. Nome e Cognome Indirizzo Città o Paese C.A.P. Nome e Cognome Indirizzo Città o Paese CA.P. Nome e Cognome Indirizzo Città o Paese C.A.P. Nome e Cognome Indirizzo Città o-Paese C.A.P. fra i suoi amici, nei gruppi e nella comunità Maranà-Thà dove vive. * Claudio Imprudente lavora » al Centro Documentazione Handicap dell’AIAS di Bolo¬ gna, dirige la rivista bimestra¬ le ACCAPARLANTE, intervie¬ ne in dibattiti , coordina ini¬ ziative. Una delle più recenti è il «PROGETTO CALAMAIO» dove attraverso una serie di incontri i ragazzi delle scuole elementari e medie di Bolo¬ gna sono messi in grado di fa¬ re la conoscenza e vivere l’a¬ micizia con portatori di han¬ dicap. «Amare *è la mia con¬ dizione. E così se prima la gente veniva da me per dar qualcosa, e il movimento era univoco, ora c’è sempre uno scambio reciproco. Questa è la cultura che deve stare at¬ torno e insieme alLhandicap». Natalia Livi C. Brown — Il mio piede sini¬ stro — Ed. Mondadori — L. 10.000 Perché leggere un libro che parla di un piede? Perché que- ! sto piede non è un piede qual¬ siasi. E’ il piede sinistro di u- na persona colpita da parali¬ si cerebrale dalla nascita. Questo per cominciare, e poi, perché il piede in questione è l’unico mezzo che questa per¬ sona ha per comunicare agli altri esseri umani che la cir¬ condano di affetto e di amici¬ zia, il pensiero, le emozioni, le tristezze, le gioie, ecc. Un piede che scrive, un pie¬ de che dipinge, un piede che «pensa». Una bellissima sto¬ ria, facile da leggere, da rac¬ contare, da regalare a un a- mico o a un’amica. Christy Brown è nato a Du¬ blino in Irlanda del Sud nel 1932, colpito da una grave pa¬ ralisi cerebrale. Nel 1949 ha seguito un trattamento spe¬ ciale che lo ha aiutato a mi¬ gliorare il coordinamento dei muscoli del corpo. Il libro, scritto dall’autore in prima persona, racconta la sua espe¬ rienza di vita; fu pubblicato nel 1954 e tradotto in italiano nel maggio 1990. Forse dob¬ biamo ringraziare il mondo del cinema e il premio Oscar al migliore film 1989, per la tra¬ duzione in italiano. Il libro è diviso in due par¬ ti. La prima racconta la sco¬ perta della malattia e l’impe¬ rioso desiderio di Christy di comunicare con gli altri, la fa¬ miglia per prima. Il momento più importante è proprio quel¬ lo della scoperta del «piede si¬ nistro» che afferra — fra lo stupore dei presenti — un pezzetto di creta dalle mani della sorellina e si sforza di disegnare sul pavimento una lettera dell’alfabeto. Con l’aiu¬ to della mamma Christy arri¬ verà a farsi capire per mezzo della scrittura, e ad esprime¬ re i suoi sentimenti con la pit¬ tura. Il piede è diventato il suo miglior amico. Così, in questa prima parte, impariamo tante cose dell’infanzia passata con i fratelli e sorelle, nell’umile casa dove si gioca, si prega, si ama, si soffre. La prima par¬ te finisce col pellegrinaggio a Lourdes dove egli prega per un miracolo che non si avve¬ rerà. La seconda parte racconta il cambiamento nella persona fisica di Christy Brown. In un certo modo è la realizzazione del miracolo che aveva chie¬ sto. La scienza medica, con nuove scoperte, dopo anni di ricerca e i medici, vengono in¬ contro alle aspirazioni di que¬ sto coraggioso ragazzo. Nuo¬ ve terapie per la cura della pa¬ ralisi cerebrale fanno miglio¬ rare la condizione fisica e mentale del ragazzo. Nuove e- sperienze fanno sviluppare il suo desiderio di imparare a scrivere meglio, interessando¬ si alla letteratura, per poter così raccontare quello che pensa e sente. Il momento più bello del li¬ bro — simile a quello di C. No- lan — è quello della lettura di alcune pagine scritte da Chri¬ sty in una riunione di perso¬ ne che si interessano dei pro¬ blemi dei disabili. Insieme ad un mazzo di rose, le parole so¬ no un’offerta d’amore e di rin¬ graziamento alla mamma che ha sempre creduto in lui, che lo ha voluto simile ai fratelli, che lo ha amato e curato; sen¬ za di lei, la vita di Christy Brown sarebbe stata un infer¬ no. Teresa Barnes 23 Foto Barbara TESTIMONIANZA di Laura Delay im Sono un genitore; vorrei parlare di me e del mio rapporto con Paola. Per gli altri sarà senza dubbio compieta- mente diverso, date le caratteristi¬ che individuali di ciascuno che ben ci distinguono. La mia voce non fa legge, né regola. Mi sposai a 21 anni, nel 1950. Nel 51 nacque la mia prima figlia, Silvia e nel 54 la seconda, Rita. Eravamo una classica famiglia serena, «defi¬ nita» nel quartiere e in Parrocchia u- na delle migliori famiglie. L’abitudi¬ ne di mettere etichette è sempre e- sistita. Nel 1959 nacque Paola. Il parto, all’ottavo mese di gravidanza, si pre¬ sentò podalico e fu vissuto da parte mia in modo tutto diverso da quelli precedenti. All’uscita dalla clinica mi furono dette queste semplici parole: «Sa, dover tirare fuori la testa, aver¬ la dovuta tirare, ha certamente fat¬ to soffrire la bimba. Non sarà certo come le altre due». Nella mia incoscienza, non diedi troppa importanza alla cosa e tornai a casa. Si notava, però, che ero tri¬ ste; tutti me lo dicevano; perfino Sil¬ via, di soli otto anni, diceva: «Però, mamma, con questa sorellina non sei contenta come quando è nata la Ri¬ ta». E io cercavo di reagire. Paola non succhiava, le notti in¬ sonni furono tante, ma speravo che tutto si sistemasse per il meglio, se¬ guendo sempre i consigli e le indi¬ cazioni del solito pediatra. Trascor¬ sero i suoi primi anni di vita e io a poco a poco mi accorsi che il modo di esprimersi, di comunicare, di par¬ tecipare ai giochi, di cominciare a di¬ segnare o scrivere, non era uguale a tutti i bambini della sua età. Fu qui che cominciò la trafila degli specia¬ listi che fecero la loro diagnosi di 24 bambina «cerebropatica-oliogofreni- ca». La mia reazione fu delle peggiori, anche se facevo parte della famosa «buona famiglia». Mi sentivo forte¬ mente colpevole di tutto ciò; mi chie¬ si in continuazione «perché proprio a me, perché proprio lei?». E dispe¬ ratamente mi misi alla ricerca di tut¬ ti i mezzi e i modi per farla diventa¬ re come le altre. La vita diventò ve¬ ramente dura; c’era in me un rifiuto della realtà e questo rifiuto è quello che probabilmente ha, forse, danneg¬ giato Paola. Non posso certo dilun¬ garmi a dire tutto ciò che di sbaglia¬ to (lo dico oggi, sbagliato, ma allora lo ritenevo giusto) io feci. Voglio so¬ lo arrivare alla conclusione: i com¬ menti degli amici e dei parenti non erano dei più favorevoli, ma nono¬ stante ciò sentii in me il forte desi¬ derio di avere un altro figlio, e fu co¬ sì che nel 67 nacque Anna. Non sarà come le altre due. Vogliamo offrirvi la nostra amicizia ....ed entrammo in Fede e Luce. Dopo questo evento in me comin¬ ciò a cambiare tutto. Mi resi conto chè le strade percorse erano vera¬ mente false, capii che dovevo entra¬ re dentro di me, conoscere me stes¬ sa, rivedere tutto di me come don¬ na, come moglie, come madre. Uscii completamente dalle mie mura, cer¬ cai tante vie, le più diverse e a tut¬ ti i livelli. Arrivai allora alla più grande con¬ quista della mia vita. Ci arrivai trop¬ po tardi, ma fu così: presi fermamen¬ te coscienza che i figli non sono no¬ stri, sono persone a se stanti, com¬ pletamente separate da noi e che noi siamo semplicemente chiamati ad imparare ad amare ognuno per quel¬ lo che è senza progetti alcuni su di loro. Era perciò del tutto privo di sen¬ so sentire l’orgoglio e il piacere per quelle figlie cosidette normali, belle e intelligenti, tanto quanto era pri¬ vo di senso trovarmi a disagio di fronte al mondo per la figlia che tut¬ te queste doti non aveva. Fu questa conquista che capovol¬ se completamente la mia vita. Capii che ogni figlia, Paola compresa, mi chiedeva soltanto di essere guarda¬ ta, ascoltata e guidata a scoprire quali erano le sue effettive capacità, quali i suoi desideri, i suoi bisogni ed in base a questi riuscire ad espri¬ mersi, a vivere, a godere del buono e del bello. Peccato, Paola aveva or¬ mai dodici anni, ma non mi scorag¬ giai. Incontrai tante e tante difficol¬ tà. Ma ogni via nuova volevo provar¬ la. Capii che non ero io quella che soffriva, ma lei la vera incarnazione della sofferenza innocente. I miei rapporti cambiarono con lei e con tutte le mie figlie. Ci fu nei ri¬ guardi di ognuna un vero rispetto ed un vero amore. Naturalmente la vi¬ ta di Paola continuò ad essere diffi¬ cile. Al deficit intellettivo si unirono gravi problemi di relazione col pros¬ simo, che fortemente desiderava, ma non riusciva a gestire. Da qui la sua tristezza e la sua aggressività; ag¬ gressività limitata sempre ad espres¬ sioni e violenza verbali, ma ugual¬ mente per tutti molto disturbante. E fu qui, in questo contesto, che in¬ contrai finalmente Fede e Luce. Era il gennaio 1988. Paola aveva 28 anni e mezzo. Susanna e Paolo, due giovani amici, vennero a casa mia e portarono un messaggio vera¬ mente chiaro. Dopo aver brevemen¬ te raccontato che cosa facevano nel¬ la comunità di S. Anna, precisarono: «Non siamo degli esperti, non pen¬ siamo di risolvere tutti i problemi che voi avete, vogliamo soltanto offrirvi la nostra amicizia, anche se non sem¬ pre ci riusciremo». A queste parole io risposi: «E vi sembra poco? Offrire un’amicizia, è forse quello che di più grande e di più bello potete fare; senz’altro è pro- 25 Foto Barbara prio quello che ai nostri ragazzi è sempre mancato». Poi, quasi incredula, ripetei per due o tre volte se realmente poteva¬ no prender parte anche i genitori. Ed essi ribadirono che era prorprio quel¬ lo che volevano. Io, abituata ormai a prendere le persone estremamente sul serio, credetti fermamente a que¬ sto messaggio ed entrammo in «Fe¬ de e Luce». Sono passati quasi tre anni e pos¬ so gridare a chiunque che quel mes¬ saggio era vero, che a Fede e Luce l'amico, con tutta la fatica che que¬ sta parola richiede, cammina e lotta per essere veramente amico. L’am¬ mirazione, la stima, l’affetto, la ricer¬ ca di ciò che insieme si voleva vive¬ re mi ha entusiasmata; le feste, i gio¬ chi, le pizze, i pranzi e le «casette»; le vacanze estive, i momenti di vera preghiera, le telefonate, le chiacchie¬ rate, tutto insomma, mi ha talmen¬ te coinvolta che la serenità e la gioia che ne ricavo è diventata parte di me, me la porto dentro nella mia vi¬ ta di tutti i giorni e lo stile di Fede e Luce è diventato il mio stile di vi¬ ta. Non sarà, io credo, un punto d’ar¬ rivo; nulla, mi auguro, in me resterà statico, ma con tutti i componenti di Fede e Luce sento che potrò vera¬ mente camminare. Non parliamo poi, di che cosa è stato per Paola. Finalmente ha pro¬ vato sulla sua pelle cos’è un’amici¬ zia; ha messo di fronte a sè tutte le barriere che poteva; continua e con¬ tinuerà a metterne, ma voglio fare un solo esempio: l'I giugno 1988, giorno del suo compleanno, a chi le telefonava per gli auguri, sbatteva giù la cornetta del telefono e grida¬ va a più non posso; il 1° giugno del 1990, ha ripetutamente annunciato in anticipo a tutti che lei compiva gli anni e per quella sera volle tutti gli amici, i ragazzi e i genitori di Fede e Luce di S. Anna a casa nostra; fu lei a gestire tutta la serata. La no¬ stra casa è piccola, eppure ci stava¬ mo tutti e ci stavamo bene. Penso che per gli amici sia stata una gran- 26 A Fede e Luce l'amico, con tutta la fatica che questa parola richiede, , cammina e lotta per essere veramente amico . Ciò che insieme si voleva vivere mi ha entusiasmata: le feste, i giochi, le pizze, i pranzi e le «casette», le vacanze estive, i momenti di vera preghiera.... Foto Barbara de conquista: il messaggio da loro portato era vero. E’ il messaggio più grande e più bello che si possa da¬ re. E’ l’unico che può dare senso e valore ad ogni vita; è un messaggio che fa dire: «Io ci sono e gli altri mi vogliono ». Vorrei anche gridare a tutti i geni¬ tori che il nostro dolore e, ancor più, il dolore di nostro figlio, rimarrà per sempre, ma che, forse, ci sono modi diversi per viverlo. Fede e Luce ci offre uno di questi modi. Ma l'unico mezzo che abbiamo per conoscerlo e viverlo, è quello di credere a ciò che Fede Luce ci dice, di credere ferma¬ mente a quella famosa parola «ami¬ co» oggi forse eccessivamente infla¬ zionata. Detta da Fede e Luce è ve¬ ra; ma possiamo scoprirla e goderla solamente se, con molta e molta fa¬ tica, riusciamo ad abbandonare quel¬ lo che ci sta alle spalle, riusciamo ad uscire dalle nostre case dove, forse, non sempre quello che facciamo è u- tile e indispensabile; riusciamo ad andare alle feste, alle pizze, alle «ca¬ sette», agli organizzativi, agli incon¬ tri di tutti i tipi di Fede e Luce. Riusciamo anche a fatica a gode¬ re delle cose più piccole, magari di una parola sola o di un solo gesto. Riusciamo, insomma, a metterci alla pari dei ragazzi, degli amici più gio¬ vani, di chiunque incontriamo. Se a- vremo pazienza e costanza, avverrà in noi una trasformazione meraviglio¬ sa. Ai giovani voglio dire una cosa so¬ la: quello che fate, con delusioni o meno, tra amarezze e sconforti, quel¬ lo che fate è una «cosa grande», troppo grande per essere espressa a parole. Non rinunciate alla costruzio¬ ne della vostra vita, alle vostre scel¬ te personali, ma con serenità, tanta serenità diventate sempre di più: i nostri figli hanno bisogno di voi; noi genitori abbiamo bisogno di voi. La mia presenza, la mia partecipa¬ zione, la mia collaborazione, il mio affetto, nei limiti di quello che sarò capace di fare, non vi mancherà mai. 27 OMBRE e LUCI 1983-1990 Articoli a sostegno delle famiglie L’esperienza della solitudine J. e H. Faivre I 83 Ti aspetto sempre (vita affettiva) J. Vanier I 83 Trisomia 21 J, Lejeune IV 83 Quando sono adulti J. Vanier IV 83 Perché lontano da Dio M. Bertolini I 84 Nessuno è escluso C.M. Martini I 84 Il mistero del bambino psicotico M.H. Mathieu II 84 Nessun uomo è una pietra Y. Pelider II 84 Psicosi precoci: che cosa sono? J. Didier Duché II 84 Quel lupo dentro di noi J. Vanier III 84 Ritrovarsi genitori di un bambino segnato M. H. Mathieu IV 84 So quel che non bisogna fare M. Odile Réthoré IV 84 Care sorelle, cari fratelli, vi scrivo M. Odile Réthoré I 85 Epilessia: una malattia che imprime un marchio G. Gultrera II 85 Una malattia neurologica ancora sconosciuta: l’epilessia G. Sideri II 85 Lo sguardo: un messaggio M. H. Mathieu IV 85 Dalla disperazione alla speranza M. H. Mathieu I 86 Il verdetto dei medici M. D. I 86 Perché si manifestassero in lui le opere di Dio C. M. Martini II 86 Alzati e ritrova la speranza J. Vanier II 86 Scendere le scale J. Vanier II 86 Tenere la porta aperta M. Rertolini IV 86 Prepariamolo a vivere con gli altri M. Egg IV 86 Non ha più sedici anni (appunti di A. Cece — da una conferenza di G. Moretti I 87 Maschio e femmina li creò J. Vanier I 87 Non so come e a chi dirlo M. Rertolini II 87 Come posso insegnargli qualcosa? M. Egg II 87 Umili gesti che sono tutta una vita A. Cece IV 87 La malattia mentale M. E. I 88 Bloccati nel sogno J. Vanier I 88 Diritto alla festa M. Rertolini II 88 Se ha buone abitudini, sarà accettato M. Egg IV 88 Dalla scuola con amore M. T. Mazzarotto IV 88 E pagano pure! M. Rertolini I 89 Da dove cominciare? M. Rertolini II 89 Aiutarlo a diventare «un uomo» M. N.P. II 89 Anche se non ho voce, anche se non sento M. Rertolini III 89 28 Dal silenzio alla comunicazione A. Bellucci III 89 Buon Natale anche a te! M. Bertolini IV 89 Mangiare insieme N. Schulthes IV 89 Il bambino che non vuol mangiare P. Lemoine IV 89 Ma non carichiamoli di un peso eccessivo M. Bertolini I 90 Accogliere un bambino autistico B. Franck IV 90 Testimonianze di genitori, fratelli e sorelle *r, Lorenza, prima di essere la nostra figlia handicappata, è stata la nostra figlia M. C. Fabre II 83 Per la prima volta lontano da me R. Ozzimo III 83 Saverio M. N. Lauth IV 83 Quando la vita è così difficile G. Roger IV 83 Lei non entra * O. Gammarelli I 84 Come le altre domeniche, Anna J. F. I 84 Quattro storie D. Mitolo, L. Cusimano V. e I. Ruisi, L. N. II 84 Essere forti per lei J. Michel, F. Buchoud IV 84 Ed era la nostra consolazione R. Mezzaroma IV 84 Esperienza di fratelli e sorelle Francesca, Paolo, F. M., G. IV 84 Epilessia in famiglia, una madre racconta II 85 Come sogni il futuro di tuo figlio Alcuni genitori III 85 Ora sappiamo che tutto ha un senso O. Gammarelli I 86 Mio Dio, com’è duro vivere nella prova M. F. Heyndrickx II 86 La fortuna di avere Daniela G. Calenzani III 86 Tutto quello che ha fatto per noi B. D'Amico IV 86 Festa in casa con lui R. Ozzimo IV 86 Teresa (storia di lavoro integrato) M. e J. Buffaria I 87 Parla senza parole D. Mitolo II 87 Sono il papà di Francesca Antonio IV 87 Quanti sanno? P. Bertolini IV 87 Addomesticare la malattia J. P. Walcke I 88 Il posto di mia figlia nella chiesa M. Varoli III 88 Paolo e Chiara I. For nari IV 88 Allora si parte? R. Ozzimo I 89 Non è sempre facile essere sorella Maria Cristina III 89 Storia di Angelica M. M. Rossi III 89 I pasti di Francesca: un rito, un’avventura J. Labrousse I 90 Arrendermi o agire? A. Sorce II 90 L’hai chiamata per portare frutto M. C. Fabre II 90 Un nuovo modo di vedere la vita F. Gammarelli III 90 Io sono come voi: una mamma — IV 90 29 “E ci tenderà le mani Sue e noi ci prostreremo e piangeremo e capiremo tutto; allora tutto capiremo. E tutti capiranno” F. DOSTOJEVSKI